Il ricordo – 31 anni fa la tragedia delle Azzorre. “Ci ritrovammo di colpo senza mamma e papà”

Il ricordo – 31 anni fa la tragedia delle Azzorre. “Ci ritrovammo di colpo senza mamma e papà”

Trentuno anni fa la tragedia delle Azzorre, un aereo partito da Orio al Serio e diretto da Santo Domingo con molti bergamaschi a bordo si schianta sulla collina dell’isola dell’Atlantico. Qui il ricordo di chi ha perso i genitori in quella tragedia. Il ricordo dei coniugi Amboni di Trescore da parte della figlia e dei congiugi Bolis di Gorlago da parte dei figli

Luigi stava tornando dall’Università di Brescia, era in auto diretto verso Sarnico, dove doveva fare allenamento assieme alla sua squadra di calcio, Elena invece era di ritorno dalle superiori a Bergamo, un giorno come un altro per i due fratelli Bolis, ma per loro in quell’8 febbraio del 1989 tutto cambiò in pochi secondi. Attorno alle 14, il Boeing 707 della Independent Air di Atlanta partito da Orio al Serio e diretto a Santo Domingo si schianta sulle colline di Santa Maria delle Azzorre con a bordo 144 persone, tra loro anche i genitori Dante Bolis e Irene carl. L’impatto non lascia scampo a nessuno, muoiono tutti, passeggeri ed equipaggio e ci vorranno un po’ di giorni per recuperare i resti, sparsi per un raggio di 6 chilometri. “Come ogni anno i miei genitori – spiega Luigi Bolis – sceglievano una meta esotica e se ne andavano via per 15 giorni in ferie, era un po’ il loro momento per riposarsi. Mia mamma era casalinga, mio padre era dentista con lo studio a Gorlago. Quell’anno avevano deciso di tornare a Santo Domingo, una meta che avevano particolarmente apprezzato. Erano stati a Cuba, alle Maldive, mio padre era stato uno dei primi italiani ad andare a fare diving lì. Allora non erano viaggi da poco, oggi siamo più abituati ma 30 anni fa fare un viaggio intercontinentale era una cosa rara. Loro si rivolgevano sempre ad un’agenzia di Bergamo che gli proponeva dei pacchetti e quell’anno per la prima volta l’agenzia gli propose un charter per partire da Orio e arrivare direttamente a destinazione. Orio non era ancora l’aeroporto di oggi con centinaia di voli, allora si facevano solo voli nazionali. Mi ricordo che mio padre era stranamente indispettito in quel periodo perchè l’agenzia gli aveva cambiato l’aeroporto di partenza per tre volte. Alla fine era arrivata l’offerta del charter da Orio e aveva accettato di partire da lì. Assieme a loro erano partiti i loro amici, i coniugi Colella e mia zia Graziella Bolis. Per noi ragazzi invece, io avevo 24 anni, mia sorella 21, l’assenza dei genitori diventava una sorta di festa perchè avevamo l’automobile a disposizione e la casa libera. Mio padre era molto geloso della sua BMW ricordo che si segnava persino i chilometri prima di partire, e nascondeva le chiavi ma io avevo fatto un doppione. Poche settimane prima mio padre mi aveva chiesto se volevo andare anche io a Santo Domingo ma io, facendo il primo anno dell’Università e sapendo della casa e dell’auto libera avevo risposto che preferivo rimanere a casa. Al mio posto si aggregò mia zia Graziella che in quel periodo era stanca per mille impegni familiari”.

E così quell’8 febbraio del 1989 su quell’aereo ci salirono in tre Dante Bolis, Graziella e Irene Carl: “Li ho accompagnati io all’aeroporto, il Boeing 707 della Independent Air di Atlanta l’ho intravisto sulla pista, si notava perchè era più grande rispetto agli altri aerei. Lì ci salutammo con le solite raccomandazioni che i genitori fanno al figlio, ricordo solo che mio padre era ancora nervoso per tutti questi cambiamenti nell’aeroporto di partenza”. Poche ore dopo lo schianto del Boeing sulla collina dell’isola delle Azzorre dove l’aereo doveva fare tappa per rifornirsi di carburante.

“Me lo ricordo benissimo quel giorno – spiega Elena – stavo tornando da scuola in autobus come gli altri giorni, era una mattina fredda e indossavo un montone. Ad un certo punto, nel momento in cui l’aereo si schiantava, ho sentito una gran vampata di calore, mi alzai e tolsi subito il montone, poi camminando la vampata di calore mi passò, non capivo cosa mi stava accadendo. Arrivata a casa accesi la tv ed iniziai a mangiare, allora non c’erano cellulari, le informazioni le avevi dalla televisione, dalla radio o dai giornali. Non so perchè, iniziai a guardare il televideo e proprio nell’ultima notizia lessi ‘aereo caduto alle Azzorre’. Non riuscii nemmeno a pensare a quanto letto che squillò il telefono, era la famiglia Colella che mi chiedeva se c’era mio fratello a casa, risposi di no e loro lasciarono subito giù. Io ero frastornata, continuavo a pensare a quello che avevo letto ma non avevo ancora collegato la notizia al volo dei miei genitori. Poi ripensai alla telefonata e riflettendo mi accorsi che avevo sentito in sottofondo qualcuno che urlava e piangeva. Richiamai la famiglia Colella e una delle figlie mi disse, ‘temo ci siano dei problemi, arriverà Giampaolo a prenderti’. Lì iniziai a capire che probabilmente era successo qualcosa di grave ma probabilmente la mia mente non voleva accettare una tragedia del genere. Arrivato Gianpaolo, il fidanzato di una delle sorelle Colella, iniziammo a cercare mio fratello che sapevo, sarebbe dovuto salire da Brescia per andare ad allenarsi con la squadra di calcio del Sarnico”. “Si – prosegue Luigi – l’accordo era che in questi giorni senza i genitori, io sarei salito a Gorlago per stare con mia sorella, quella sera avevo allenamento a Sarnico, appena entrato in automobile accesi la radio e di sfuggita su radio 101 Network, sentii di sfuggita la notizia sull’aereo caduto alle Azzorre ma subito persi la connessione. All’inizio non avevo collegato quell’incidente all’aereo dei miei genitori perchè non sapevo dello scalo alle Azzorre, quindi ero tranquillo. Poi cambiai frequenza e risentii la notizia stavolta con un particolare nuovo, l’aereo era partito da Orio al Serio ed era diretto a Santo Domingo, a quel punto ho collegato tutto. Per me quel viaggio da Brescia a Sarnico è stato il viaggio più lungo della mia vita. In un certo modo cercavo di allontanare un pensiero simile, non volevo credere alla morte dei miei genitori, arrivato al centro sportivo vedo che l’allenatore e il dirigente vengono verso di me e mi dicono che mia sorella era stata lì a cercarmi, ormai non c’erano più dubbi, era successo qualcosa di grave. Nel viaggio tra Sarnico a Gorlago non ho più visto un semaforo, passando a fianco del bottonificio dei Colella ho sperato di vedere le luci accese negli uffici, la fabbrica aperta, speravo di vedere una situazione normale per convincermi che alla fine non era successo nulla. In effetti negli uffici la luce c’era ma quando arrivai a casa suonai e mia zia si affacciò e mi disse, ‘Luigino sali’, quando gli chiesi cosa era successo lei scoppiò a piangere ed ebbi la conferma della tragedia. In quei momenti sfori la pazzia, non sai più cosa fare, mia sorella era di sopra in camera con un dottore che la stava aiutando, io mi ritrovai a dover gestire tutto quanto, l’accoglienza delle bare, le telefonate, i giornalisti. Devo ringraziare tutti i miei amici che in quei giorni sono stati a casa nostra a dormire e a gestire tutte le pratiche al posto nostro, Alessio Alborghetti, Enrica Modina, Giorgio Spini, Roberta Ravelli. Devo ringraziare anche un nostro parente, ex direttore della Banca Popolare di Bergamo, che decise di prendere in mano la situazione girando subito il conto corrente dei miei genitori a me prima che fosse bloccato perchè altrimenti io e mia sorella da soli saremmo stati ancora più in difficoltà”. Dopo la tragedia la Farnesina di mette subito al lavoro per informare i parenti e dare il via al riconoscimento dei corpi. “Con una tragedia del genere – spiega sempre Luigi – i corpi sono quasi irriconoscibili, ci chiesero quali effetti personali avevano i miei genitori per poterli riconoscere più facilmente, per fortuna mia sorella, la mattina della partenza era in bagno con mia madre e le vide addosso due magliette di Ungaro, proprio quelle etichette servirono per riconoscere i suoi resti, assieme ad una catenina d’argento che portava sempre. Quando un aereo si schianta al suolo un impatto del genere provoca una depressurizzazione istantanea e la morte improvvisa. Il corpo di mio padre fu riconosciuto subito, era uno dei pochi ancora integro. Lui fu sbalzato e venne trovato in un canalone, la sua bara fu la prima a scendere dall’Ercules dell’aviazione italiana che riportò le salme in Italia. Mia madre arrivò invece pochi giorni dopo con un altro volo, era praticamente irriconoscibile e fu il nostro dottore ed amico di famiglia Sergio Rossi a prendersi il compito di riconoscere ufficialmente il suo corpo”.

Ma perchè l’aereo si è schiantato? Quali sono state le cause dell’incidente? “Le cause sono state tante – spiega Luigi – una somma di eventi che si sono sommati arrivando a comporre la tragedia. Che fosse un volo charter non centra nulla, i piloti poi avevano una lunghissima esperienza alle spalle, erano ex piloti dell’aviazione americana che, andati a riposo, avevano iniziato a volare per questa compagnia aerea. L’isola delle Azzorre ha delle colline e una pianura dove c’è l’aeroporto. Solitamente gli aerei arrivano dal mare ed atterrano, quel volo invece stranamente era arrivato dalla collina e già quella è una prima stranezza. Sempre il volo della Independent Air iniziò a fare come da ponte radio tra un volo portoghese e la torre di controllo con i messaggi che iniziarono a mischiarsi e a creare confusione. Un terzo fattore riguarda la torre di controllo, alle Azzorre le condizioni meteo mutano nel giro di pochi minuti, può esserci il sereno e poi sulla collina si possono formare di colpo delle nuvole. Proprio mentre il volo si stava avvicinando uno stagista alla torre di controllo venne lasciato solo con l’obbligo del superiore di comunicare i dati meteo che aveva in quel momento. L’aereo calcola l’altezza da terra grazie anche alla pressione atmosferica che la torre di controllo gli comunica, molto probabilmente lo stagista comunicò dei dati di una condizione meteo che nel frattempo era cambiata, questo comportò un calcolo errato da parte del pilota con l’aereo che volava sotto l’altezza della collina delle Azzorre. Il quarto fattore è che l’aereo non attese dalla torre di controllo la seconda conferma di abbassarsi sotto i 3000 metri ma prese l’iniziativa solo con la prima richiesta. La procedura vuole che ci siano due richieste e due risposte prima di procedere. Infine non si capisce perchè il pilota non virò verso l’alto quando i sensori dell’aereo gli indicarono il ‘pull up’ vale a dire l’imminente impatto contro una montagna. Il pilota aspettò 20 secondi prima di iniziare ad alzarsi e quei 20 secondi furono fatali, l’aereo picchiò con l’ala contro la collina ed iniziò a scivolare per 200 metri lungo una valletta nel bosco, morirono tutti quanti. Io penso che il pilota si fidò dei dati comunicati dalla torre di controllo e, pensando di essere sopra l’altezza della collina, non obbedì subito al ‘Pull up’. In quel momento poi c’era della nebbia e non si vedeva bene l’isola quindi il pilota virò solo quando si accorse che l’aereo si stava schiantando. Dopo quell’incidente sono stati cambiati tutti i protocolli per i voli aerei, proprio per non ripetere gli stessi errori nella procedura di atterraggio”.

Luigi ed Elena si ritrovano così di colpo senza genitori: “E’ stata durissima, nessuno ci ha aiutati, ce la siamo dovuta cavare da soli, io mi sono poi laureato in medicina e a 30 anni ho fatto una seconda laurea per mio padre, per diventare dentista come lui e riaprire il suo studio. Io lì non ci sono entrato per 6 anni perchè quello era il suo studio. Io ho perso mio padre proprio nel momento in cui iniziavo a confrontarmi con lui, iniziavo ad avere un rapporto di uomo a uomo ed è stata durissima. Solo con il tempo riesci a rimarginare una ferita che comunque rimane”. “Io ho dovuto superare un periodo durissimo -spiega Elena – ed ora viviamo anche nel loro ricordo, di due genitori splendidi che ci hanno lasciato troppo presto”. Dieci anni dopo Luigi è andato alle Azzorre per vedere dove i genitori erano morti: “L’associazione delle vittime delle Azzorre -spiega Luigi – aveva fatto realizzare una stele di bronzo, opera dello scultore Guidotti da porre sulla collina a Pico alto, lì dove si era schiantato l’aereo. Ancora dopo 10 anni vedevi il corridoio lasciato dall’aereo in mezzo alla pineta, 10 anni dopo ho ritrovato pezzi della carlinga dell’aereo, io ho riportato a casa una targhetta di un sedile, questo ti fa capire lo schianto che l’aereo fece su quel versante. Noi dobbiamo ringraziare i militari americani della base Nato alle Azzorre che il giorno dello schianto recuperarono i corpi assieme alla popolazione di quell’isola, militari che ci ospitarono anche 10 anni dopo”.

Il ricordo dei coniugi Amboni

Nella tragedia delle Azzorre morirono anche dei coniugi Giuseppe Amboni Maria Teresa Pezzotta, questo il ricordo della figlia Mara. “Mio padre continuava a dirlo che sarebbe morto giovane, e lo ripeteva sempre, era così sicuro che aveva fatto promettere a suo fratello che si sarebbe preso cura di me e di mia sorella”. Mara Amboni ha questo unico ricordo del padre Giuseppe Amboni che assieme alla madre Maria Teresa Pezzotta si erano imbarcati su quel volo che li stava portando a Santo Domingo. “Io e mia sorella non abbiamo molti ricordi di quel giorno, io avevo 14 anni, lei 10. ricordo solo che quel giorno mi accompagnarono alla fermata dell’autobus per andare a scuola e mi salutarono con le solite raccomandazioni. Loro andavano in vacanza da soli l’estate, quel viaggio era stata un’eccezione, non erano mai partiti in febbraio. Ricordo poi di aver saputo della loro morte verso le sette di sera, da noi doveva stare una zia che avrebbe accudito noi e tenuto aperto il negozio, la sera arrivò a portare la notizia della caduta dell’aereo una signora che aveva sentito in farmacia della tragedia. Altro non ricordo se non il gran dolore provato. Io e mia sorella venimmo assegnate ad un giudice tutelare, l’avvocato Leali di Bergamo e poi affidati al fratello di mio papà, così come aveva sempre voluto mio padre”.
Matteo Alborghetti

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