Monasterolo del Cstello: esce il libro ‘Jordan TRail’ dei due ‘Cuori in Cammino’

Monasterolo del Cstello: esce il libro ‘Jordan TRail’ dei due ‘Cuori in Cammino’

Primo libro per Marco Rovati e Laura Bonetti i ‘due cuori in cammino’ stavolta sono reduci dalla camminata in Giordania e raccontano la loro esperienza del viaggio tra dune rosse e il mar Mediterraneo, come sempre due zaini, una tenda, fornelletto da campo, cibo e tanta acqua in spalla per attraversare questa terra. In questi giorni è uscito il libro ‘Jordan Trail, oltre il deserto’. Qui un breve resoconto del viaggio in Giordania a piedi riportato da Laura:

Per quanto ci si prepari -spiega Laura – l’impatto con la realtà è sempre traumatico. Un caldo atroce da togliere il fato. Di tanto in tanto qualche ulivo sotto cui ripararci dal sole cocente; ma anche all’ombra il corpo continua a sudare. Salite e discese costanti su un terreno roccioso. Le gocce di sudore che scendono negli occhi sono salate e gli occhi lacrimano.

Il primo giorno riusciamo a percorrere a malapena metà della tappa che ci eravamo prefissati per la giornata. Siamo esausti e pieni di dubbi e paure.

Proprio mentre cerchiamo un punto dove sistemare la tenda per la notte e recuperare le energie perse durante la giornata di cammino, sentiamo in lontananza una voce, fragile ma determinata. Dall’alto di una collina, in un inglese basico, un bambino ci sta chiamando: «Come! Come! Venite! Venite!» Ci guardiamo intorno ma non c’è nessun altro: sta chiamando proprio noi. Inizia anche ad agitarsi e muovere le braccia per attirare la nostra attenzione.

«Voiiiiii! Venite!» Siamo così stanchi che l’idea di risalire la collina per raggiungerlo non ci entusiasma. Tuttavia la vista di questo ragazzino in cima all’altura, un’esile figura con alle spalle l’enorme palla rossa del sole che sta tramontando, ci affascina e ci attrae.

Rimettiamo lo zaino in spalla e, con passo lento e stanco, ci rimettiamo in cammino verso il ragazzino che ci corre incontro e continua a a ripetere le poche parole di inglese che conosce. È ancora lontano, ma già vediamo il sorriso che illumina il suo volto mentre ci avviciniamo. Proviamo a chiedere il suo nome, ma non ci capisce. Si limita a farci segno di seguirlo. Ad attenderci davanti a casa c’è il padre, il quale ci porge la mano e con fare solenne ci dice: «Welcome. Welcome to Jordan!» (Benvenuti! Benvenuti in Giordania!)

Ci invita a bere un tè, ci porta acqua e cibo per rifocillarci, ed infne ci prepara due materassi su cui poter trascorrere una notte tranquilla e serena.

Nelle settimane successive questi eventi si ripetono in modo costante. Dai pastori che ci invitano a bere il tè preparato sul fuoco, ai beduini che ci chiamano per mangiare pane e burro di capra, ai bambini che ci inseguono per strada per salutarci e stringerci la mano. Veniamo invitati a mangiare con loro, a dormire nelle loro case, a prendere acqua e cibo per proseguire il cammino.

Non ci conoscono. Ci vedono passare. Ci aprono le loro case e il loro cuore. Spesso non parlano neppure una parola di inglese. L’unica frase che conoscono e che ripetono all’infnito, portandosi una mano sul cuore è sempre la stessa: Welcome to Jordan!

Si potrebbe scrivere un libro intero narrando gli incontri e le persone incontrate camminando lungo il Jordan Trail. Ognuna di loro è impressa nella nostra mente per la gentilezza dimostrata e il calore trasmesso.

In Giordania siamo entrati in contatto con un’ospitalità così atipica che facciamo fatica a comprendere. Ti vedono passare ti chiamano ti siedi in casa loro e ti versano del tè. A volte parlano un po’ di inglese altre volte neppure una parola. Si limitano a sorriderti e a versarti un’altra tazza del loro tè nero e terribilmente zuccherato.

Ci sono situazioni in cui ci troviamo davanti una tazza di tè una tazzina di cafè e un bicchiere d’acqua; il tutto contemporaneamente. E ti chiedi se esista una regola su cosa bere prima”.

Tanti volti, tante situazioni, tante storie raccolte nel viaggio, una di queste viene raccontata ancora da Laura: “Dalla semplice tazza di tè si arriva certe volte a situazioni ed eventi che superano la nostra capacità di comprensione. Un esempio il più recente. Pochi chilometri prima dell’arrivo a Karak una ragazza ci chiama dalla finestra: «Ciao! Venite! Venite!»

È un’allegra ragazza palestinese con tre bimbe e un marito silenzioso. Ha piovuto tutto il giorno e io sono rafreddata. Quando ci stringiamo la mano sente che la mia è gelida. Mi chiede se ho freddo e subito corre a prendere una giacca calda e morbida per scaldarmi. Ci porta una deliziosa bevanda con noci cannella e miele. Solo a stringere la tazza sento il calore invadermi. Non ho ancora nito la bevanda ed ecco che appare una tazza di cafè. «In Palestina beviamo tantissimo cafè non come in Giordania dove bevono solo tè» ci racconta ridendo”. Proprio in questo incontro Laura e Marco capiscono il valore dell’accoglienza e del dono in questi popoli che, pur vivendo di poco, offrono quello che hanno: “È il momento di ripartire. Tolgo la giacca per restituirla ma la ragazza mi dice di no. «Ma è la tua giacca. Serve a te» le dico. La ragazza insiste afnché la tenga io. Le spiego che non posso accettarla perché nello zaino poi sarebbe troppo pesante da trasportare. Allora lei cosa fa? Corre in camera e mi porta un maglione in lana. «Questo è meno pesante. Questo puoi prenderlo.» Non posso accettarlo. Mi troverei ad abbandonare quel maglione nei prossimi giorni. Non ha senso privare lei di qualcosa di cui io non ho bisogno e che abbandonerei. L’abbraccio. Le ripeto che apprezzo davvero tanto la sua gentilezza ma non posso accettare.

Finalmente la convinco. Ma… ecco che corre via un’altra volta in un’altra stanza e ci dice di aspettare. Pochi minuti di attesa ed eccola tornare. «Questo è per voi!» ci dice sorridendo e allungandoci un sacchetto carico di cibo.

Ci rendiamo conto che rifiutare è impossibile. Solo accettando qualcosa che lei ci sta offrendo con il cuore possiamo dimostrarle che abbiamo compreso la sua voglia di aiutarci e apprezziamo ciò che sta facendo. Lei è felice. Mi sorride e mi abbraccia. Io l’abbraccio. Le sorrido. Ma non capisco.

Non ci conosce. Non sa chi siamo. Abbiamo trascorso mezz’ora insieme e probabilmente non ci rivedremo mai più. Eppure ci ha aperto casa sua. Voleva privarsi di qualcosa di suo che lei usa e che le serve per darlo a noi. È qualcosa che va oltre l’accoglienza.

E io ancora faccio fatica a capire…

Welcome to Jordan.

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