Quei tumultuosi giorni di fine aprile di 75 anni fa tra valle Cavallina e Alto Sebino

Quei tumultuosi giorni di fine aprile di 75 anni fa tra valle Cavallina e Alto Sebino

Il 25 aprile tra Valle Cavallina e alto Sebino, da Spinone fino a Lovere passando per Endine, giorni tumultuosi che lasciarono vittime, spesso incolpevoli, in quegli ultimi scontri tra antifascisti e Nazifascisti. Morti in scontri, nei rastrellamenti o in incidenti del tutto casuali, ecco un resoconto di quanto accadde in quei giorni con testimonianze di chi visse in prima persona quei momenti, uno stralcio del libro ‘La 53° Brigata Garibaldi Tredici Martiri’

Il giorno della liberazione arrivò all’improvviso e sorprese gli uomini della 53ª Brigata Garibaldi, che si trovarono spiazzati di fronte all’incalzare degli eventi. L’avvicendamento dei poteri avvenne senza particolari scontri tra partigiani e nazifascisti. L’evolversi del conflitto aveva ormai delineato i poteri in campo e per i fascisti non restò altro che arrendersi e consegnare le armi ai partigiani. Il passaggio di consegne avvenne in tutti i paesi dell’alto Sebino senza spargimento di sangue, grazie anche all’intervento massiccio della popolazione che scese nelle strade per manifestare la gioia per la fine della guerra e della dittatura. L’ultima coda violenta della guerra fu la ritirata delle truppe tedesche che non volevano cadere nelle mani alleate e rimanere imbottigliate in Italia. La loro ritirata lungo la valle Cavallina portò, nei giorni seguenti alla liberazione, ancora scontri con morti e feriti. In quei giorni il comandante Giovanni Brasi si trovava in valle Brembana dove, insieme agli altri comandanti partigiani e agli alleati stava preparando proprio i piani per gestire l’insurrezione finale, piani da applicare nei primi giorni di maggio. Anche i distaccamenti della 53ª erano separati tra di loro e non riuscirono a coordinare un’azione congiunta. Il grosso della formazione si trovava in Valbondione e nell’alta valle Seriana, occupata militarmente e definitivamente liberata dagli uomini della 53ª e della “Camozzi”. Nella notte tra il 24 e il 25 aprile ad Ardesio si arresero agli uomini della 53ª Brigata Garibaldi altri 300 russi che disertano e chiesero ai partigiani di essere inviati in Svizzera. Quella fu l’ultima missione oltre confine.30 Nella mattina del 25 aprile i partigiani della 53ª dislocati ad Ardesio ricevettero l’ordine di partire per la valle Cavallina:

«Eravamo circa 250 […] imboccammo la strada per Clusone. Anche qui la gente affollata per le vie attendeva il nostro arrivo e ogni casa aveva una bandiera. Subito, dietro indicazione della popolazione, facemmo prigionieri parecchi militi della Macerata e del GNR ed arrestammo molte spie e collaborazionisti.

Secondo l’ordine ricevuto, alle tre del pomeriggio lasciammo il paese per andare a prendere posizione sulle colline di Sovere, chiudendo così la strada che collega la val Cavallina con la valle Seriana, da dove potevamo anche osservare e controllare il passaggio delle colonne tedesche in ritirata. Giunti a Sovere senza incontrare neppure un cane per strada, lasciammo gli autocarri sul ponte del torrente Borlezza e poi seguimmo le istruzioni di Renzo. La squadra di Filava prese posizione in località “Canet” verso Sellere, mentre la mia si spostò al “Bettoni” poco lontano dalla statale Bergamo Lovere da dove dovevano passare i tedeschi.»31

Anche i ricordi di Luigi Tarzia “Tarzan”, descrivono i giorni dell’insurrezione in alta valle Seriana. In questi momenti di euforia Tarzia racconta l’incidente che portò alla morte di Francesco Petenzi “Enzo”:

«In quei giorni il mio gruppo era alla Malga Valgoglio da dove scendevamo per arrivare sulla strada che univa il paese di Ardesio a quello di Valbondione e dove disarmavamo le colonne dei tedeschi e dei russi che fuggivano tentando di raggiungere la Svizzera. La sera del 25 aprile ci raggiunge una staffetta con l’ordine del nostro comandante “Montagna” di lasciare la posizione il mattino del 26 e di raggiungere Clusone dove avremmo dovuto fermarci in attesa di ulteriori ordini, la sera del 26 raggiungiamo il paese e ci fermiamo nei pressi della trattoria Presolana in attesa di conoscere la nostra destinazione. Al mattino del 27 veniamo raggiunti dal comandante che ci informa che sono in arrivo due camion che ci avrebbero portato a Lovere per unirci al grosso della formazione. Verso mezzogiorno arrivano gli automezzi e sistemati gli uomini si parte, ovviamente come potrai comprendere in un clima di euforie e di festa. Purtroppo il destino ha voluto darci un altro colpo , arrivati all’altezza del cimitero del paese di Sellere a uno dei camion si rompono i freni e solo grazie alla prontezza di spirito del conducente, un certo Macario di Lovere, la festa non è finita in una tragedia ben più grave di quella che è stata, in quella circostanza morì Petenzi Fiorenzo [Francesco “Enzo”], mentre Taccolini “Bobi” e il sottoscritto riportarono ferite, Dopo un attimo di smarrimento, fatto il bilancio dei danni, ci siamo incamminati a piedi e abbiamo raggiunto piazza Garibaldi a Lovere dove siamo stati accolti dai nostri compagni e dalla popolazione in festa.»32

Tra i partigiani presenti sul camion c’era anche Virginio Castellani “Franco” e nella sua testimonianza alcuni particolari mutano:

«Io mi trovavo ad Ardesio in quei giorni quando venne telegrafato il comando di spostarci a Clusone. Qui mi ricordo che nella baraonda di quei giorni venne ucciso un fascista che si era arreso con le mani in alto ai partigiani. Il fascista aveva detto di essere andato con i fascisti perché la moglie voleva i soldi e mantenere la vita lussuosa. Il fascista poi disse “Se volete uccidermi fatemi almeno confessare prima”. Allora venne chiamato un prete, mi ricordo che era grande e grosso, il prete confessò il fascista che venne portato dietro un muro, poi sentii una raffica di mitra. Quando andai a vedere dietro il cimitero di Clusone vidi il fascista per terra morto. Da Clusone ci venne ordinato di andare a Lovere. Eravamo tutti su un camion tedesco, eravamo una trentina di partigiani a bordo di quel camion guidato da Giacomo Guizzetti di Sovere. Giunti sulla discesa di Sellere il camion inizia a sbandare andando contro il muro di cinta della strada. Guizzetti poi riuscì abilmente ad imboccare una delle stradine in salita poste a fianco della strada fermando così la corsa del mezzo. Un partigiano però, probabilmente nel tentativo di scendere dal camion in corsa, rimase schiacciato contro il muro morendo sul colpo.»33

Nel frattempo a Endine la squadra comandata da Giuseppe Brighenti “Brak” si preparò a tentare nuovamente un’azione contro la caserma della GNR del paese, azione già tentata nel mese di marzo. L’azione venne preparata accuratamente studiando ogni movimento dei militi. La mattina del 26 però l’azione partigiana venne preceduta dalla notizia che Milano era insorta. I partigiani guidati da Brighenti giunsero così alla caserma della GNR quando già i militi si erano arresi e la popolazione di Endine si era già riversata lungo la strada statale.34 I partigiani anzi finirono per essere i salvatori dei fascisti che, finiti nelle mani della gente, stavano per essere linciati. I militi della GNR vennero dunque condotti in una prigione partigiana.35 Lovere invece dovette attendere la mattina del 26 aprile per poter festeggiare la liberazione e la fine della guerra. Principali fautori della liberazione del paese dell’alto Sebino furono gli uomini della SAP “Piana-Conti” che entrarono in azione la mattina del 26 e successivamente furono supportati anche dai partigiani della 53ª Brigata Garibaldi. Così Mario Oscar “Ben-Hur”, comandante della SAP “Piana-Conti” ricorda la liberazione di Lovere:

«Nella mattina del 26 aprile circolava insistente la voce che i partigiani avessero occupato Clusone. A questa notizia il Comando SAP decideva, in collaborazione con alcuni elementi del PC di impadronirsi della caserma repubblicana. Infatti, dopo un primo tentativo infruttuoso, il presidio dei briganti fascisti si arrendeva con armi ed equipaggiamenti. Con le armi recuperate si procedeva ad armare immediatamente diverse squadre di volontari ai quali si diede il compito di bloccare tutti i punti strategici del paese. Mentre tutto ciò avveniva, una staffetta provvedeva ad avvisare le squadre di partigiani dislocate a Bossico, le quali scendevano immediatamente in nostro aiuto per poter così attaccare la caserma dei tedeschi. Infatti in collaborazione con detti partigiani, si provvedeva a bloccare la caserma degli oppressori nazisti i quali stavano già per abbandonare il paese. Dopo trattative, essi si arrendevano senza condizioni. Dal 26 aprile al 7 maggio si provvedeva alla tutela dell’ordine pubblico e del servizio di guardia ai prigionieri meritandosi l’elogio del comando della 53ª Brigata Garibaldi e quello della popolazione.»36

Gli uomini della SAP “Piana – Conti” e della 53ª Brigata Garibaldi riuscirono a catturare così 24 militi della Tagliamento e il loro tenente. Venne anche disarmato tutto il presidio tedesco a Lovere. Il 26 aprile stesso il CLN loverese tenne la sua prima riunione presso la sede della Società di Navigazione e deliberò le dimissioni del commissario prefettizio ing. Piccardi e la nomina a sindaco di Michele Capitanio, ultimo sindaco socialista prima dell’arrivo dei fascisti.37

VI.3: I tedeschi lasciano l’Italia

Dopo il 25 aprile l’alto Sebino era ormai stato liberato dalle Brigate partigiane e l’avvicendamento dei poteri era avvenuto senza particolari scontri. Gli uomini della 53ª Brigata Garibaldi ottennero la resa del comando tedesco. Gli scontri però non si erano ancora conclusi. La valle Cavallina, l’alto Sebino e la valle Camonica infatti rappresentavano una delle principali vie di fuga verso la Germania per i soldati tedeschi. E proprio il passaggio delle truppe tedesche in ritirata portò agli ultimi scontri che causarono morti e feriti da entrambe le parti. La fonte principale alla quale ho fatto riferimento per descrivere la ritirata tedesca è il libro di Oriella Della Torre “Endine Gaiano, 27 aprile 1945”,38 libro nel quale viene minuziosamente descritta la risalita lungo la valle Cavallina della colonna tedesca in ritirata. A Trescore esisteva già un comando dell’aviazione tedesca che raggruppava centinaia di soldati. Ad essi probabilmente si unirono altri gruppi di soldati in fuga. Già nei giorni precedenti iniziarono a passare lungo la statale del Tonale camion e auto in fuga verso la Germania.39 Una colonna tedesca composta da circa 200 tedeschi fu fermata a Lovere, davanti all’odierna piazza Garibaldi e affrontata da un gruppo di 7 o 8 partigiani. Gli uomini del CLN intervennero per parlamentare e i tedeschi, pensando che nel paese ci fosse un grosso quantitativo di partigiani, decisero di arrendersi. Con i 200 partigiani della prima colonna si arresero anche altri 100 tedeschi sopraggiunti in un secondo tempo. Il CLN riuscì così ad impossessarsi di circa 300 fucili che servirono ad armare numerosi volontari.40 Il 27 aprile giunse alla squadra partigiana che aveva liberato Endine la notizia che un’autocolonna tedesca in ritirata stava salendo lungo la valle Cavallina. Il numero dei mezzi e dei soldati tedeschi che formavano la colonna in ritirata varia a seconda delle testimonianze raccolte, ma tutte concordano su una cifra ingente di mezzi e uomini coinvolti. Il numero di mezzi coinvolti doveva aggirarsi attorno al centinaio, Brighenti riferì che furono 127.41 I soldati tedeschi in fuga erano 2000 circa.42 La colonna tedesca nel suo percorso prima di arrivare a Endine causò già le prime vittime a causa di colpi partiti dalla colonna. A Spinone al Lago cadde la prima vittima della ritirata tedesca, la sedicenne Maria Sangalli uccisa da delle pallottole vaganti.43 A Ranzanico venne ucciso Giulio Zinetti, da poco entrato nelle fila della 53ª Brigata Garibaldi.44 La colonna tedesca proseguì il suo cammino fino alle porte di Endine. Qui ci fu il primo scontro con dei partigiani, azione dettata dal clima caotico e insurrezionale che regnava in quei momenti. Così Giuseppe Brighenti ricorda quei momenti:

«Alcuni minuti prima, proveniente da Casazza, un insurrezionale, annunciando l’arrivo della colonna che già aveva raggiunto la fabbrica dei Pezzoli, si mise a sparare in aria convinto, si vede, di fare qualcosa di buono e non pensando, invece, al danno che avrebbe provocato. La colonna proseguì e raggiunse l’altezza del dopolavoro. A quel punto Giovanni Zanni (detto Gieki, un mulatto indiano) che abitava più sopra, tirò contro la colonna una o due bombe a mano (non si sa come avesse potuto procurarsele) mettendo fuori uso uno degli automezzi. Ci fu subito una reazione immediata dei tedeschi. Anche alcuni partigiani, che si trovavano dietro il muro della Madonnina, sulla strada che porta in paese, colti di sorpresa, risposero al fuoco tedesco, mentre in quel momento io [Brighenti] mi trovavo sul sagrato della chiesa per avvertire altri partigiani che si erano portati in quella zona, di non sparare. I due partigiani che si trovavano sopra il muro, Pietro Colombi di Valmaggiore e Andrea Zubani di Castro, vennero colpiti da raffiche di mitragliatrice e uccisi.»45

In quel momento la colonna tedesca si fermò e subito mise in atto una feroce rappresaglia contro l’abitato di Endine:

«Gruppi di tedeschi, lasciati gli automezzi, si diressero in paese assalendo le abitazioni civili a fucilate e a colpi di bombe a mano, mentre i partigiani, dopo la prima reazione al fuoco tedesco e per evitare ulteriore spargimento di sangue, ricevettero il mio ordine [è sempre Brighenti che parla] di cessare il fuoco e portarsi fuori paese verso Fanovo. Nel frattempo, i tedeschi davano inizio alle prime esecuzioni di civili trovati sulla strada e nelle case del “Basso” vennero passati per le armi Camillo Vitali, Elia Ghitti, Bernardo Zambetti e Remigio Pavioni. Nella casa, da dov’erano partite le bombe, venne ucciso Giovanni Zanni (Gieki), furono ferite Angela [Angelo] Vitali e Maria Meni, che sarebbero poi morte in seguito alle ferite riportate. Vennero feriti anche il fratello, Mario Zanni, e la moglie Agnese Zanza [zausa], incinta all’ottavo mese; mentre Camillo Berlai riuscì a salvarsi arrampicandosi dentro il camino. Nello scontro rimasero uccisi anche due tedeschi. Alcune case del paese vennero bruciate e altre abitazioni devastate a colpi di mortaio, compresa l’abitazione dell’arciprete Giovanni Belloli.»46

Lo scontro tra tedeschi da una parte e partigiani e civili dall’altra portò alla morte di tre tedeschi, due partigiani e sette civili. L’azione tedesca però non si fermò qui:

«I rastrellatori prelevarono dalle loro abitazioni uomini, donne, vecchi e bambini, circa 300, che vennero collocati sui tetti degli automezzi della colonna. […] Il prete don Belloli ebbe l’incarico di rintracciarmi con il perentorio invito a presentarmi a loro, se si voleva che i civili fossero rilasciati. Non mi trovò perché, assieme a Giuseppe Vitali (detto Giosepì o Giospano), mi ero diretto sopra la Madonna, in direzione della casa dei “Feranc”, mentre il prete andò verso Fanovo. Al mio posto, accompagnati dal prete, si presentarono tre partigiani, tra i quali Pietro Dell’Angelo di Endine. Questi uomini, dopo che i civili furono liberati, vennero collocati sugli automezzi della colonna come ostaggi per la parte del viaggio da Endine fino a Lovere.»47

L’unica preoccupazione per i tedeschi era quella di proseguire il viaggio verso la Germania. Per questo motivo si servirono dei partigiani come scudi umani contro ulteriori attacchi. Secondo la testimonianza di Pietro Dell’Angelo i tedeschi vennero accompagnati fino a Darfo:

«27.4.1945. Una forte colonna tedesca a ataccato [sic] il paese di Endine con armi leggeri

[sic]

e pesanti che anno [sic] causato gravi danni morti 7 e case[distrutte] e feriti, [in cui] anno fatto in ostaggio tutta la popolazione. Loro anno [sic] avuto 3 morti, allora presero l’arciprete e l’anno [sic] mandato da noi partigiani consigliandolo di presentarsi con un partigiano, ignaro delle conseguenze che avrebbe potuto incontrare. Col mio intervento oh [sic] potuto salvare le abitazioni e la popolazione stessa e oh [sic] accompagnato i tedeschi fino a Darfo.»48

Come già detto prima, secondo alcune testimonianze tra i morti di Endine causati dalla reazione tedesca ci fu anche Angelina Pedrini di Carobbio degli Angeli dove era nata il 3 maggio del 1924. Angelina viene inserita negli archivi dell’ISREC in tre differenti brigate partigiane, nella Brigata Serio, nella Brigata Nullo e nella 53ª Brigata Garibaldi. Nella sua scheda personale dell’ANPI, inserita tra i partigiani caduti in combattimento si legge che, durante gli scontri di Endine Gaiano tra partigiani e tedeschi, Angelina Pedrini venne colpita alla nuca morendo sul colpo. Rimane più probabile la testimonianza dei parenti che parlano della morte accidentale di Angelina a Carobbio degli Angeli. Solo dopo tre ore dagli inizi degli scontri la colonna tedesca riprese il suo cammino lasciando così l’abitato di Endine. Così Ulderico Berselli ricorda nella sua breve memoria stesa nel marzo 2000, l’allontanamento dei tedeschi:

«Quando finalmente, dopo 3 ore, l’ultimo automezzo tedesco fece saltare l’autocarro militare rovesciato, e lasciò il paese, gli Endinesi usciti dai rifugi di emergenza e i numerosi ostaggi liberati andavano vagando qua e là in preda ad una tremenda angoscia, perché si temeva il ripetersi di un fatto analogo a quello accaduto alcune ore prima […]. La notte seguente nessuno di coloro che abitavano nelle vicinanze della strada del Tonale se la sentì di dormire nel proprio letto; si sistemarono altrove purché al sicuro.»49

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